lunedì 28 novembre 2011

Il vuoto di Azuma al Museo del Novembre

                                                                                                         
In corso al Museo del Novecento fino al 15 gennaio 2012 l’esposizione “Focus. Kengiro Azuma, Mu, 1961″, “Conversation” e “Dada-Futurismo”, a cura di Danka Giacon. 
L’esposizione di Azuma, nato nel 1926 a Yamagata e discendente di una famiglia di fonditori di bronzo, si focalizza sul periodo della sua svolta dal figurativo all’astratto, in cui l’artista riflette sul concetto di vuoto, “Mu”, fondamentale nella cultura giapponese, che traduce in sculture di gesso segnate con fori e incisioni, a rappresentare gli equilibri tra pieni e vuoti. A Milano Azuma ha potuto approfondire la ricerca sulla dottrina dualistica degli opposti propria della filosofia zen che è alla base delle sue creazioni: «Ogni oggetto presenta un dualismo tra gli opposti, come il pieno e il vuoto, il bene e il male. Ciò che ha guidato la mia ricerca è l’interesse per il Mu, che è invisibile, come l’anima, la fantasia, il sogno. Il Mu, pur opponendosi allo Yu, ha bisogno di quest’ultimo per manifestarsi. Alla base di ogni mia opera c’è, infatti, il disegno che, frutto dei miei pensieri, è invisibile. Ma per completare il lavoro, devo andare oltre il disegno e dar forma all’invisibile».
foto di Pascale
Laureatosi in scultura all’Università di Tokyo, nel 1956 Azuma si trasferì a Milano per frequentare l’Accademia di Brera, per poi divenire assistente di Marino Marini e aprire lo studio in Bovisa, dove ancora vive e lavora. Il 1961 è l’anno della prima personale di Azuma alla Galleria Toninelli di Milano, di particolare importanza per la carriera del maestro giapponese. 
                                                                                                 
Nel 1995 ha ricevuto a Tokyo dall’imperatore la decorazione Shiuju Hosho” per meriti legati alla cultura, e nel 1996 l’Ambrogino d’Oro. Nel 2001 è stata la volta dell' onorificienza “Ordine del Sol Levante”, destinata a chi ha reso onore al Giappone con la sua attività. 
La sua opera e la sua storia di vita sono un esempio eloquente di riflessione sull’identità, ma anche di duttilità culturale e di transnazionalismo ante-litteram (i suoi figli sono nati a Milano, e uno di loro si chiama Amri Ambrogio).

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