martedì 30 novembre 2010

L'ultimo libro di Diego De Silva

Il protagonista del romanzo si lancia in lunghissime elucubrazioni mentali, mentre accanto a lui accade di tutto (sembra la mia vita...).
In una intervista all'autore ad un certo punto la giornalista dice: "Confesso che a tratti mi sono persa".
De Silva risponde: " Sono contento. Volevo rendere l'idea del complicato traffico di pensieri che domina la nostra vita. E che a volte supera i fatti, e persino i sentimenti. Perché certi sentimenti non sottostanno al potere della parola.
Prenda l'amore: quando finisce, parlarsi non serve a niente. Non ci si raggiunge, comunque.
In amore la parola ha senso solo quando ci si sta dicendo la stessa cosa."


Ti fa ridere proprio tanto, e non sempre sai perché.



Certo, è simpatico, ma il punto è che ti pare scemo e geniale, leggero e profondo ogni volta che parla portandoti dove vuole. E trascinandoti in un vortice di pensieri bislacchi che vanno e vengono dalla sua testa alla tua con assoluta naturalezza, spiazzandoti.


Alla fine gli vuoi bene davvero, a Vincenzo Malinconico, avvocato d'insuccesso: «un uomo che sposerei non una ma due volte, sbagliando tutt'e due», ha detto qualcuna.

La più grande verità

"Talvolta penso che il paradiso sia leggere continuamente, senza fine."



Virginia Woolf

La vetrina della settimana

.... si avvicinano le feste

bianco e rosso...


... fa tanto Natale

domenica 28 novembre 2010

28 novembre. Era il tuo compleanno.

EX VOTO

Accade
che le affinità d'anima non giungano
ai gesti e alle parole ma rimangano
effuse come un magnetismo. É raro
ma accade.

Puó darsi
che sia vera soltanto la lontananza,
vero l'oblio, vera la foglia secca
piú del fresco germoglio. Tanto e altro
puó darsi o dirsi
.

Comprendola tua caparbia volontà di essere sempre assente
perchè solo così si manifesta
la tua magia. Innumeri le astuzie
che intendo.

Insisto
nel ricercarti nel fuscello e mai
nell'albero spiegato, mai nel pieno, sempre
nel vuoto: in quello che anche al trapano
resiste.

Era o non era
la volontà dei numi che presidiano
il tuo lontano focolare, strani
multiformi multanimi animali domestici;
fors'era così come mi pareva
o non era.

Ignoro
se la mia inesistenza appaga il tuo destino,
se la tua colma il mio che ne trabocca,
se l'innocenza è una colpa oppure
si coglie sulla soglia dei tuoi lari. Di me,
di te tutto conosco, tutto
ignoro.

Eugenio Montale

sabato 27 novembre 2010

... se mi iscrivo alla pagina di Johnny Deep anche lui poi mi chiede l’amicizia?



Abbiamo le opere di Kafka grazie a un tradimento di un amico



Dobbiamo davvero essere grati a Max Brod del suo tradimento: l’aver disobbedito a Franz Kafka ci ha permesso di conoscere opere che altrimenti sarebbero state date alle fiamme (“... tutto quello che, scritto da me, ancora esiste, [...] preferibilmente senza essere letto, va bruciato; chiedo a te di farlo il più presto possibile”). Se Brod avesse obbedito alle richieste dell’amico continuando l’opera di distruzione che lo stesso Kafka aveva iniziato in vita, non avremmo potuto avere capolavori come Il castello, Il processo, America, i diari, le lettere e il complesso dei manoscritti raccolto nei “quaderni in ottavo”.
In una pagina dei Diari del 1913 si legge: “il mio posto di lavoro mi è insopportabile perché è in contrasto col mio unico desiderio e con la mia sola professione che è la letteratura. [...] Non sono altro che letteratura e non posso né voglio essere altro. [...] Tutto ciò che non è letteratura mi annoia e provoca il mio odio perché disturba o mi è d’inciampo...”.
La testimonianza di questo bisogno di letteratura che è stata tutta la sua vita rimane negli scritti postumi che egli avrebbe voluto fossero bruciati.
Una grave malattia che in pochi anni lo condurrà alla morte era stata colta come spia di uno stato d’essere che lo condannava alla solitudine e gli impediva l’accesso alla realtà del mondo.
Nei Diari del 1917 annota: “Tu hai la possibilità, se pure questa esiste, di incominciare. Non sprecarla. Non potrai evitare la sozzura che affiora in te, se intendi di entrare. Se la ferita ai polmoni è soltanto un simbolo, come tu affermi, [...] afferra questo simbolo.” La ferita della tubercolosi dava “giustificazione” alla sua esistenza ed era il simbolo profondo del suo impotente affanno di fronte alla scelta fra il bene e il male. Il bene era rappresentato da Felice Bauer, la donna alla quale si era legato in fidanzamento, il male personificato invece dalla sua dolorosa indisposizione al matrimonio. Scaraventato nel mondo, Kafka ha vissuto tutta la negatività rintracciando in essa lo sconforto del bene perché meta irraggiungibile. La vita per lui è stata un involucro soffocante e solo la scrittura, sua intima costrizione, è stata la sua salvezza.

venerdì 26 novembre 2010

Passeggiata notturna



Niente è paragonabile. Esiste forse cosa
che non sia tutta sola con se stessa e indicibile?
Invano diamo nomi, solo è dato accettare
e accordarci che forse qua un lampo, là uno sguardo
ci abbia sfiorato, come
se proprio in questo consistesse vivere
la nostra vita. Chi si oppone perde
la sua parte di mondo. E chi troppo comprende
manca l’incontro con l’Eterno. A volte
in notti grandi come questa siamo
quasi fuor di pericolo, in leggere parti uguali
spartiti fra le stelle. Immensa moltitudine.
Rainer M. Rilke

Gilet folk russo anni '30




                                                                              

... non ho potuto fare a meno di fotografare questa chicca che mi è arrivata oggi










                                                                                                                 
                                                                                                                                                              

Stamattina... sulla strada dall'asilo al lavoro


"Il tempo non è un sacco, magari è un bosco. Se hai conosciuto la foglia, poi riconosci l'albero. Se l'hai vista negli occhi, la ritroverai. Pure se è passato un bosco di tempo." (Erri De Luca)




... Si potrebbe fare che per un giorno (uno soltanto) io possa svegliarmi così?


giovedì 25 novembre 2010

Non tutti i raffreddori sono uguali

Albert Einstein ne buscò uno all’età di quattro anni. Dovendo restare chiuso in casa si annoiava tantissimo. Suo padre ebbe l’idea di regalargli una bussola. Il piccolo Albert ne fu affascinato, e soprattutto stupito che questa fosse orientata sempre nella stessa direzione. Quale era la forza invisibile che faceva spostare l’ago costantemente verso il nord? Perché l’ago calamitato la sentiva? Quella bussola gli ispirò pensieri profondi.“Da piccolo”, dirà nella vecchiaia “avevo difficoltà a parlare e i miei genitori temevano che fossi subnormale. Ma forse è proprio a causa di questo ritardo mentale che ho cominciato a riflettere sui concetti di spazio e tempo quando gli altri ragazzi ne hanno ormai acquisito la percezione. Questa tardiva meditazione mi permise però di scendere molto più in profondità...” La relatività ristretta – ricordava infatti Leon Van Hove, al tempo giovane speranza della fisica divenuto poi direttore del CERN (Centro europeo di ricerche nucleari di Ginevra) - Einstein l’ha già in mente da studente quando invece di pensare alle cose che pensano gli allievi immagina ciò che succederebbe viaggiando a velocità vicina a quella della luce. Queste intuizioni furono gli spunti da cui nacque la teoria della relatività ristretta che Einstein presentò nel 1905. Anno mirabile. Nel giro di otto settimane, il ventiseienne Einstein consegna al mondo tre lavori che scuotono dalla base l’edificio della fisica, e che costituiscono l’atto di nascita della teoria della relatività; scoperta questa, destinata a rivoluzionare il mondo in cui viviamo. Da dove nascono le idee che hanno cambiato il volto della fisica? Einstein non faceva parte di questa o quella corrente di pensiero né dell’ambiente universitario. Quello che ha trovato, l’ha cercato soprattutto in se stesso. “Dietro alle cose – scriverà 63 anni dopo quel raffreddore - doveva esserci un che di profondamente nascosto”. I problemi della forza elettromagnetica li aveva già risolti Maxwell. Einstein si dedicò alla forza di gravità. La sua teoria generale pubblicata nel 1916 è tuttora la migliore che abbiamo per interpretare questa forza: la famosa legge di Newton vi rientra come un caso particolare. Una delle sue frasi celebri da lui pronunciate suona: “Come mai nessuno mi capisce e tutti mi amano? ”Sono tanti i motivi per cercare di capire Einstein. Il più convincente è che senza saperlo, viviamo in un mondo governato da idee, leggi, teorie che hanno in Einstein il loro padre, il nonno, o il bisnonno. Qualche esempio: le celle solari che convertono la luce in elettricità, che troviamo applicate nelle calcolatrici tascabili, nelle sonde; il fotone, unità elementare della luce; così il laser; i sistemi di navigazione satellitare. Quanto alla relatività generale è uno dei fondamenti dell’idea dell’espansione del universo e da essa derivano fenomeni come il ritardo degli orologi atomici, i buchi neri e le lenti gravitazionali.
La sua vita è un intreccio di trionfi intellettuali, fallimenti nella vita affettiva e episodi stravaganti e divertentissimi che hanno dato vita a una aneddotica sterminata ma non sempre veritiera. Per distinguere l’autentico dal falso, la guida più sicura è Abraham Pais, autore di una biografia intitolata Sottile è il Signore.... e successivamente di, Einstein è vissuto qui, libro in cui ha raccolto dati, notizie e curiosità che non aveva potuto inserire nella biografia scientifica. I suoi insuccessi scolastici divenuti ormai leggenda sono originati dal fatto che Albert odiava l’autorità scolastica e considerava la scuola una grande perdita di tempo: perché imparare a memoria regole, date e nomi che si possono trovare facilmente sui libri? Taciturno e solitario non segue un curriculum regolare, a fatica termina il liceo per poi entrare a 17 anni al Politecnico di Zurigo al secondo tentativo. Qui conoscerà la sua prima moglie che gli darà una bambina da lui mai riconosciuta e due figli maschi a cui si dedicò pochissimo. Finiti i corsi non viene accettato come assistente. Nel 1902 trova lavoro presso l’Ufficio Brevetti di Berna. Grazie alla sua velocità nel compiere il lavoro di una intera giornata in due ore, potrà finalmente dedicarsi ai suoi studi. Anni densi di ricerche. Nel frattempo divorzia dalla prima moglie pattuendo l’accordo che se avesse vinto il Nobel l’importo sarebbe andato interamente alla ex moglie. Saggia preveggenza. Il Nobel arrivò nel 1922. Frattanto si risposa e gira il mondo. Sono questi gli anni delle celebrazioni: Stati Uniti, Giappone, Spagna, Inghilterra, Italia. Ovunque, riceve dalle massime autorità riconoscimenti altissimi. Lui adempie il suo ruolo di ambasciatore con grande umiltà e senza illusioni. Scriverà: “Ecco un’altra, imprevedibile applicazione del principio di relatività: in Germania passo per uno scienziato tedesco, in Inghilterra per un ebreo svizzero; ma se, puta caso, la sorte facesse di me una bestia nera, diventerei un ebreo svizzero in Germania e uno scienziato tedesco in Inghilterra” ( E l’ipotesi si avverò puntualmente). Dal 1934 alla sua morte avvenuta nel 1955, scelse l’esilio negli Stati Uniti. Da qui aiutò molti ebrei a fuggire dalla Germania. Nonostante il suo impegno pacifista, fu convinto da Leo Szilard ed Eugene Wigner, due fisici ungheresi (il primo era un suo vecchio amico) da poco arrivati in America per sfuggire al nazismo, della necessità che gli Stati Uniti avviassero gli studi sulle potenzialità belliche dell’energia nucleare per evitare che i nazisti riuscissero a sfruttarla per primi. Scrisse allora nel 1939 la famosa lettera al presidente Franklin D. Roosevelt per chiedergli di avviare gli studi. La figura di Einstein era circondata da grande stima e quindi la sua lettera ottenne il risultato previsto. Però, anche se la possibilità di realizzare la bomba era una diretta conseguenza della teoria della relatività (della famosa formula E = mc2), Einstein non partecipò in alcun modo al Progetto Manhattan che portò alla sua realizzazione. Abitò e lavorò a Princeton presso il famoso Institute for Advanced Study, assistito dalla fedele segretaria di una vita Fräulein Dukas. Di quando in quando teneva una lezione annunciata all’ultimo momento per evitare l’afflusso di curiosi. Difendere la propria privatezza era la sua preoccupazione maggiore. Divenuto ormai mito calamitava amori e l’attenzione di tanti che gli scrivevano da ogni dove. Pare che una scolaresca di New York gli inviò delle cravatte invitandolo a vestire in modo più elegante. Caro professor Einstein è un singolare volumetto per i tipi di Archinto che racchiude una sessantina di lettere di risposta a fanciulli sparsi per il mondo. Nelle lettere traspare il grande amore per i giovani, la capacità di comunicare e semplificare le cose più complesse sull’universo mantenendo l’innocenza di un bambino, e l’invito forte a seguire le proprie inclinazioni e a costruire un mondo di tolleranza e rispetto.
Per commemorare il centenario dalla nascita della teoria della relatività, il 2005 è stato salutato come anno mondiale della fisica. Proprio per questo Longanesi ha ripubblicato un grande saggio di Bertrand Russell: “Tutti sanno che Einstein ha fatto qualcosa di sorprendente, ma pochi sanno che cosa abbia fatto esattamente.” Per spiegarlo Russell scrisse nel 1925 L'ABC della relatività, che inizia appunto con queste parole, e rimane dopo ottant’anni non solo la sua più riuscita opera di divulgazione scientifica, ma anche la migliore introduzione al pensiero di Albert Einstein, e non certo per mancanza di concorrenza.
Dopo trent’anni di celebrità Einstein aveva imparato a temere, più di ogni altra cosa, i giornalisti. A chi gli chiedeva un autografo rispondeva invitandolo a compilare un modulo a stampa. L’accoglimento della richiesta era subordinato al versamento di una somma da devolversi in beneficenza.

 

Frasi celebri

“La fantasia è più importante del sapere.”

“È più facile spezzare un atomo che un pregiudizio.”

“Non tutto ciò che può essere contato conta e non tutto ciò che conta può essere contato.”

“Voglio conoscere i pensieri di Dio... il resto sono dettagli”

“Due cose sono infinite: l’universo e la stupidità umana, ma riguardo l’universo ho ancora dei dubbi.”





A volte le cose....

A volte le cose...



non sono esattamente come sembrano dall'esterno....

... giornata così... A tutte le donne in questa giornata importante

"... e tu non crederesti mai che di notte gli alberi camminano o diventano sogni"

Alda Merini

                                                        (sourge: Marija Lucija Stupica)




"Noi siamo fatti della stessa materia dei sogni. (La tempesta, atto IV, William Shakespeare)

(sourge Marija Lucija Stupica)


Elogio dei sogni

In sogno

dipingo come Vermeer.
Parlo correntemente il greco
e non solo con vivi.
Guido l'automobile,
che mi obbedisce.
Ho talento,
scrivo grandi poemi.
Odo voci
non peggio di santi autorevoli.
Sareste sbalorditi
dal mio virtuosismo al pianoforte.
Volo come si deve,
ossia con le mie forze.
Cadendo da un tetto
so planare dolcemente sul verde.
Non ho difficoltà
a respirare sott'acqua.
Mi rallegro di sapermi sempre
svegliare prima di morire.
Non appena scoppia una guerra
mi giro sul fianco preferito.
Sono, ma non devo
esserlo, una figlia del secolo.
Qualche anno fa
ho visto due soli.
E l'altro ieri un pinguino
con assoluta chiarezza.
Wislawa Szymborska (1923)

mercoledì 24 novembre 2010

Si dice che il tempo sistemi le cose...

....già, ma non ci dice mai dove le mette


martedì 23 novembre 2010

Troppo vento per restare in piedi




Ci sono giorni in cui è difficile. Tutto diventa complicato.
Giorni in cui l'equilibrio sparisce e non sai dove sia finito.
Una notizia
Un pensiero impossibile da gestire
Un raggio di luce che ti colpisce all'improvviso
Uno sguardo troppo intenso
Un ricordo che ti scivola via dalle mani.
Troppo vento per restare in piedi.

"Tu prova ad avere un mondo nel cuore e non riesci ad esprimerlo con le parole."



De Andrè



Madeleine Vionnet





"… e quando una donna sorride, il suo vestito dovrebbe sorridere con lei!"



Madeleine Vionnet



La vetrina della settimana

Ho un bisogno disperato di Chanel!

lunedì 22 novembre 2010

Le mille epifanie che sbocciano all'improvviso


L'autore è Francesco Piccolo (per i tipi Einaudi) e il suo libro si intitola Momenti di trascurabile felicità parla degli attimi in cui si assapora il piacere della vita.
Si comincia a leggerlo un po' per il titolo e un po' per curiosità e un po' perchè quella parola esercita sempre una piccola seduzione nelle nostre teste (o almeno così credo).
In ogni pagina si trova sempre qualcosa che ci riguarda, che sentiamo nostro, a cui abbiamo pensato, che abbiamo vissuto...
e succede come quando si mangia la frutta secca che non ci si fermi più e che si continui a leggerlo tutto d'un fiato. E che ti strappano sorrisi:
«Entro in un negozio di scarpe, perché ho visto delle scarpe che mi piacciono in vetrina. Le indico alla commessa, dico il mio numero, 46. Lei torna e dice: mi dispiace, non abbiamo il suo numero. Poi aggiunge sempre: abbiamo il 41.
E mi guarda, in silenzio, perché vuole una risposta.
E io, una volta sola, vorrei dire: e va bene, mi dia il 41».


«Perché non fanno i cancelli abbastanza grandi per far passare gli ombrelli aperti quando piove?».

«Quando si alza la barra del telepass che ho paura che stavolta non si alzi».



«Qualsiasi film con Meryl Streep (sì, sì anch'io anch'io)».«Gli sms dopo le undici di sera che dicono: dove sei?, che significano molto di più di quello che dicono».




«Quando la donna con cui dormo ha capito che ognuno deve dormire dal suo lato. Che ci si può abbracciare prima, o quando ci svegliamo la mattina, ma quando si dorme bisogna stare ognuno per i fatti suoi. Dividendo il letto con la stessa meticolosità con cui si tracciava la linea di divisione del banco con il compagno di banco, a scuola».

«In generale tutti quelli che si preoccupano per me o si occupano di me». (come canta anche Vasco)

domenica 21 novembre 2010

La foto più bella della settimana, anzi del mese, anzi no dell'anno!

L'ho scovata per caso facendo ricerche su internet. L'autore è Fabio Ranieri a cui faccio pubblicamente i complimenti.

The artist is Present MoMa, NY

La maratona di Marina Abramovic diventa una mostra.
La grande artista di Belgrado ha realizzato una delle performance più lunghe della storia: 700 ore seduta su una sedia a fissare le persone di fronte a sè.

Il New York Times così racconta:
"Capelli raccolti in una treccia appoggiata sulla spalla sinistra e pelle bianchissima, la sua posa è rimasta quasi sempre la stessa: il corpo leggermente piegato in avanti a fissare in silenzio di fronte a sé. C’era un solo fattore variabile, uno bello grosso: il pubblico. I visitatori del museo venivano invitati a sedersi in una sedia di fronte a lei: la sedia non è rimasta quasi mai vuota e in totale si sono avvicendate quasi 1400 persone, alcune per solo pochi minuti, altre per un giorno intero.

Sedersi di fronte a Marina Abramovic è stato l’evento cool della scena artistica newyorchese di quest’anno. Personaggi celebri come Bjork, Marisa Tomei, Isabella Rossellini, Lou Reed e Rufus Wainwright non sono voluti mancare e giovani artisti hanno cercato di approfittare della visibilità dell’evento per farsi notare: uno si è presentato con una toga simile a quella della Abramovic e le ha chiesto di sposarlo. E alcuni di quelli che sono tornati più volte sono diventate delle mini celebrità."





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