giovedì 24 ottobre 2013

20134Lambrate_ The mythical life of Anna Pavlova


Venerata dalle elité, apparteneva però alle masse.
Anna Pavlova, immagine sempiterna della ballerina, gemma del Teatro Mariinskij, a San Pietroburgo aveva ai suoi piedi l'aristocrazia. Fu la prima ballerina russa a calcare le scene europee, accolta ovunque come una dea.
                           

Da Parigi dove danzò accolta trionfalmente scelse di trasferirsi a Londra più cosmopolita. Imperatrice dei teatri del West End, visse a Hampstead Heart, facendo di Ivy House, occultata da muri d'edera, la sua residenza d'elezione, l'approdo tra una tournée e l'altra. Nel parco digradante fino al laghetto dove nuotavano i cigni tra cui il prediletto Jack, accanto a fenicotteri e uccelli esotici portati dai suoi viaggi, Anna svolazzava tra lo stagno di ninfee.
Le cronache la immortalano a Ivy House affascinante ospite dei più deliziosi garden parties mai tenutisi a Londra. 
Ebbe tanti amici illustri, tra cui Jakovlev, Fokine e Charlie Chaplin. Con lui una grande amicizia spensierata; li ricordavano ridere a tavola imitandosi a vicenda: lui il cigno morente e lei la camminata di Charlot.

La vita austera da vestale della danza non le impediva di curare la sua immagine di creatura di stile immortalata da Vogue. 
Testimonial di scarpe, creme, si aggirava come fosse in scena. 
                
I ballerini la ricordavano sempre impeccabile, anche quando rientrava da treni e piroscafi dopo una notte in cabina per offrirsi ai fotografi. 
Se non trascurava mai l'aspetto pratico del suo abbigliamento, indossava tutto con estrema eleganza e naturalezza: dagli abiti della Belle Epoque alle silhouette décontracté degli anni Venti, dalle tuniche di Fortuny ai composé maschili a la Coco Chanel. Merito della sua figura sottile e flessuosa che aveva spazzato via i canoni della ballerina carnosa e di quel viso aristocratico venuto da chissà dove viste le sue origini proletarie.
                 



Appassionata di pellicce, di cincillà e di zibellini; divertita da cappelli con piume di struzzo con la mania per le scarpe. 
Le sue preferite erano un paio di Mary Jane rosse con tacco a rocchetto morbide e flessibili che si era fatta fare in serie. 
Ma era il tutu il suo assolo-emblema. 
"La morte del cigno" il suo vero capo feticcio: disegnato da Bakst con le ali dell'animale sulla gonna e una pietra rossa come una ferita sul petto, la ballerina non lo indossava mai più di due volte prima che fosse rinnovato. 
La accompagnava ovunque: "Portatemi il mio tutù" chiese prima di spirare, a poche ore dallo spettacolo.
Tratto da un pezzo di Valentina Bonelli

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