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sabato 14 maggio 2016

20134Lambrate_Iris Apfel


1. LE MASSIME Proprio nelle sue massime e nella sua filosofia di vita sta probabilmente il segreto che la rende – ancora – la regina dell’Upper East Side, fashion icon senza un capello fuori posto. “‘vivi e lascia vivere’ è il mio motto. Non me ne sto seduta a giudicare gli altri. È comunque più importante essere felici che vestite bene”. La sua lezione? Qui abbiamo raccolto le sue 20 migliori frasi, citazioni e lezioni di stile (ma anche di vita) che potete imparare da piccola donna leggendaria.
2. “Quando non ti vesti come tutti gli altri non devi neanche pensare come tutti gli altri”.
3. “Se non conosci te stessa non potrai avere mai un grande stile. Non sarai mai veramente viva. Per me il peggiore passo falso nella moda è quello di guardarsi allo specchio e non riconoscere te stessa”.

4. “Non vedo nulla di così sbagliato in una ruga. È un sorta di distintivo di coraggio”.

5. “Per vivere da vera newyorkese le due cose più importanti per una donna sono un autista e un cappotto foderato di pelliccia”.

6. “La moda è qualcosa che puoi comprare, lo stile è ciò che possiedi dentro di te”.

7. “Se sei pettinata bene e indossi un bel paio di scarpe te la puoi cavare in ogni situazione”.

8. “Non ci sono mappe né regole per lo stile. Si tratta di saper esprimere te stessa e, soprattutto, avere attitude”.

9. “Se non sei interessata, non sei neanche interessante”.

10. “Il segreto per avere stile è capire chi sei. E questa è una cosa che richiede anni e anni”.

venerdì 20 febbraio 2015

20134Lambrate_ Helena Rubinstein

                

Beauty Is Power
Non esistono donne brutte, solo donne pigre", è questo che amava ripetere Madame Rubinstein alle donne per convincerle che la bellezza non era un sogno impossibile, soprattuto se avessero usato i suoi prodotti o messo piede in uno dei suoi saloni, dove si disquisiva di trucco ma anche di eleganza, di creatività, di arte e libero pensiero tout court.
Certo, fosse stata pigra si sarebbe accontentata di fare dolci in famiglia per le festività ebraiche, incece di fuggire da un matrimonio combinato e sbarcare in Australia a inizio secolo, per poi lanciare i suoi cosmetici con questo slogan:
"Beauty is power."
Una provocazione in un'epoca in cui il rossetto e ombretto erano abitudini appannaggio di teatranti e prostitute.
La convinzione della figlia di un bottegaio polacco - decisamente non bella nè ricca né nobile, sprovvista di mezzi e protettori, ma dotata di volontà e intuizioni trascinanti.
Tutto questo bastò a farla diventare il prototipo della self made woman, quando dopo il successo in Australia e a Londra, si trasferì a New York.
Titolo ideale della mostra che le è dedicata e che per la prima volta riunisce la sua impressionante collezione, dispersa ai quattro angoli del globo dopo la sua morte.
Quasi 200 pezzi tra sculture, abiti, maschere africane, dipinti, compresa una serie di ritratti che le fece Picasso, monopolizzato e tormentato da questa dispotica mecenate, che a 85 anni pretendeva ancora di esser immortalata come Gengis Khan.

Helena Rubinstein_ Beauty is power
fino al 22 marzo al Jewish Museum di New York

mercoledì 25 giugno 2014

20134Lambrate_Amelia Earhart

                         

Il 17 giugno 1928 Amelia Earhart decolla per la prima traversata atlantica senza scalo eseguita da una donna.
Amelia era diversa. 
                           

Nel 1920, quando aveva 23 anni, partecipò con il padre ad un raduno aeronautico in California dove per la prima volta fece un giro turistico su un biplano sopra Los Angeles. Si dice che è in seguito a quell’evento che decise di imparare a volare: cominciò a frequentare lezioni di volo e dopo un solo anno, supportata dalla famiglia, acquistò il suo primo biplano.
                     

Amelia era fatta per volare in alto, in tutti i sensi: stabilì il primo dei suoi record femminili salendo a un’altitudine di 14.000 piedi e, alcuni anni dopo, fu la prima donna ad attraversare l’Atlantico. All’inizio non era da sola: il 17 Giugno 1928 decollò con il pilota Stultz e il co-pilota e meccanico Gordon, ma quattro anni dopo decise di ripetere l’impresa, questa volta in solitaria. Lady Lindy, così veniva chiamata, ci riuscì, ed entrò – ancor più – nella storia. Furono tanti i suoi record, così come tristemente famosa è la sua scomparsa nel tentativo di compiere il giro del mondo, il 2 Luglio 1937.
amelia earhart 1928
Perchè vi parlo di lei oggi? Non solo per una coincidenza di date. Credo che a volte sia bene, al di là di facili mitizzazioni, prendere ad esempio la vita di chi ci ha preceduto lasciando valori e comportamenti a cui ispirarsi. E nel caso dell’aviatrice americana Amelia Earhart, pioniera e sognatrice, sarebbe fin troppo semplice accostare la metafora del volo della storia di Icaro: invece no, prendiamo il positivo, cioè la forza di emergere, di inseguire un sogno, osare dove si è prima fallito, non lasciare che le condizioni esterne… ci tarpino le ali. Forza Amelia, forza donne, forza tutti. Qualunque sia il vostro obiettivo, date il massimo, e sarete felici.

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giovedì 13 marzo 2014

20134Lambrate_Frida!!

                       


"Nell’aprile del 1953, un anno prima di morire all’età di quarantasette anni, Frida Kahlo ebbe la prima importante retrospettiva messicana delle sue opere pittoriche. La sua salute si era ormai talmente deteriorata che nessuno si aspettava di vederla all’inaugurazione. Ma alle otto di sera, un attimo dopo che le porte della Galleria d’arte contemporanea di Città del Messico si furono aperte al pubblico, arrivò un’ambulanza. 
            


L’artista, vestita del suo prediletto costume messicano, venne portata in barella fino al grande letto che già dal pomeriggio era stato installato nella galleria. Il letto era decorato come piaceva a lei, con fotografie del marito, il grande muralista Diego Rivera, e dei suoi eroi politici, Malenkov e Stalin. Scheletri di cartapesta pendevano dal baldacchino alla cui volta era stato fissato uno specchio che rifletteva il suo volto devastato eppure splendente di gioia. 
                          

Ad uno ad uno, duecento tra amici e ammiratori andarono a congratularsi con Frida, quindi formarono un circolo intorno al suo letto e si misero a intonare con lei ballate messicane che durarono fino a notte inoltrata."
                     
Questo è l’incipit del prologo della vita di Frida narrata da Hayden Herrera, massima esperta della vita di questa donna straordinaria. Un incipit che rappresenta il culmine e che testimonia le qualità di questa donna: il coraggio, l’alegría di fronte alla sofferenza fisica che l’accompagno per tutta la sua esistenza, la passione, la sorpresa e la specificità; un amore tutto suo per lo spettacolo come maschera con cui proteggere se stessa e la propria dignità. Terza figlia, nasce il 6 luglio del 1907.
                                

Poco dopo la madre si ammala e Frida viene allattata da una donna indigena, fatto per lei di fondamentale importanza. Tre anni dopo scoppia la rivoluzione messicana. Un giorno si odono spari e grida. Bussa alla porta della casa dei Kahlo un gruppo di ribelli affamati e stanchi che sanno di poter contare su gente amica. Frida si intrufola e li osserva seria ma senza paura, ha tre anni ma è attratta dall’evento straordinario.
                             

Appena poco più grande dichiarerà sempre di essere nata il 7 luglio 1910, inizio della rivoluzione guidata dai leggendari Pancho Villa e ed Emiliano Zapata. Non era una civetteria: era convinta di essere realmente nata col Messico nuovo.
A sei anni si ammala di poliomenite, e da qui inizierà il calvario atroce che l’accompagnerà per tutta la vita, a cui farà seguito un brutto incidente che peggiorerà la situazione e la porterà a convivere quasi quotidianamente con il dolore. Se gli autoritratti servivano a confermare la sua presenza, i costumi davano alla donna fragile e spesso costretta a letto la sensazione di essere più magnetica e visibile. Paradossalmente, essi erano la maschera e cornice allo stesso tempo, ed erano in grado di distrarla dal dolore interno.

                             

Frida conosceva il potere magico degli abiti come sostituti; scrisse nel diario che il costume da tehuana era il ritratto in assenza di una sola persona: il proprio io assente. Quando rideva era uno scroscio di risa profondo e contagioso; indossando questi abiti sgargianti, faceva sensazione ovunque andasse.
Nel 1929 divenne la terza moglie di Diego Rivera: che coppia incredibile! Lei piccola, impulsiva e fiera, pareva essere uscita da un romanzo di García Márquez, lui enorme e stravagante.
“In vita mia mi sono capitati due incidenti gravi – disse una volta – Il primo quando un tram mi ha messa al tappeto. L’altro incidente è Diego.”

Lo amò ossessivamente, cercando però per tutta la vita di sottrarsi al suo dominio. Che Diego fosse infedele e che la faccenda la facesse soffrire è fuori discussione, ma se Frida si disperò non mancò comunque occasione in cui disse che non le importava e che anzi era divertita.
           

D’altro canto Rivera amava le donne forti e indipendenti e la incoraggiò sempre e la spinse a cercare un suo stile personale. A poco a poco divenne essenziale nella vita di lui: acuta nel riconoscere i suoi bisogni, le aree di vulnerabilità e da qui seppe costruire il legame che la trattennero a lui. Lo divertì e seppe stupirlo, sempre.
Alla sua morte, il viso grasso e pieno di Diego si afflosciò e ingrigì. Nella sua autobiografia, riporta il giorno 13 luglio del 1954 come il più triste della sua vita. 
         

Nel 1955 Diego regalò la casa di Frida al popolo del Messico con tutto quello che conteneva. Oggi la casa è aperta ai visitatori e proprio qui si ha la sensazione di averla conosciuta: i suoi costumi, i gioielli, le sue bambole, le lettere, i libri, i messaggi d’amore, la sua collezione di arte popolare offrono un’immagine vivida della sua personalità. Passando molti mesi a letto, la casa era un’estensione del suo mondo. Il suo ultimo quadro è ancora appeso in soggiorno e rappresenta alcune angurie che si stagliano su un cielo azzurro brillante. Il più popolare dei frutti messicani si presenta, intero, a metà, a quarti, spaccato.
Pochi giorni prima di morire, Frida intinse il pennello in una vernice rosso sangue e scrisse il proprio nome, la data e il luogo, dove il quadro era stato eseguito.
Poi in maiuscolo tracciò il suo saluto: VIVA LA VIDA.

giovedì 27 febbraio 2014

20134Lambrate_Ava Gardner. 1° parte


AVA GARDNER
di Micaela Tenace
                   

Londra, gennaio 1988. In un palazzo georgiano di South Kensington vive una donna bellissima. Zazzera arruffata e sopracciglia ad ala di gabbiano, se ne sta accovacciata su una poltrona, le lunghe gambe affusulate ranicchiate sotto di sé, rilassata in una morbida tuta che le accarezza le forme.


Nonostante i sessantacinque anni compiuti se ne sta li con una postura da adolescente, lo sguardo feline e seduttivo. Di fronte a lei c'è Peter Evans, giornalista di lungo corso, occhiali sottili che incorniciano gli occhi celesti, alle spalle tante biografie best seller.
                    

Peter le scruta il volto. 
Qualcosa le vela lo sguardo. Ava Gardner, la divina di Hollywood degli anni d'oro, la gatta sexy dai capelli d'ebano e gli occhi di smeraldo, ha il viso segnato da un ictus.
Lei l'ha convocato nel suo appartamento: "Sono in bancarotta tesoro. O scrivo un libro o vendo i miei gioielli. E sono un po' sentimentale riguardo i gioielli" gli dice con quel sarcasmo sferzante al quale Peter dovrà far l'abitudine. 
                          

"La mia vita si può riassumere così: "Ha fatto film, ha smesso di girarne e ha reso la sua vita un fottuto casino. Ma non ha mai preparato una marmellata in vita sua" dichiara di se stessa. 
Così l'inizio di una serie di incontri a tardo pomeriggio annaffiati da Martini Dry, di conversazioni telefoniche a notte fonda. 
Questa la genesi di Ava Gardner. The secret Conversations, nuova biografia sopravvissuta a lei e al suo autore. 

Le conversazioni tra i due sono strampalate, frammentate, rese complicate dal carattere capriccioso e umorale dell'attrice, dalla sua necessità nevrotica di bere. ("Io bevo per ricordare")

mercoledì 15 gennaio 2014

20134Lambrate_Le magnifiche: Carla Lonzi

                          

Carla Lonzi, nata a Firenze il 6 marzo 1931, prima di cinque figli. 
Il padre, artigiano, la madre casalinga, studia in un collegio di suore e si laurea con lode in Lettere con una tesi molto apprezzata dallo storico Roberto Longhi. Scrittrice, critica d'arte e femminista.

Secondo lo storico Celant, Carla era "un polo energetico ineguagliabile, la sua presenza ha mutato la storia, non solo dell'arte italiana."
              


Attraverso il suo libro Autoritratto raccontò l'arte attraverso le conversazioni, da Lucio Fontana a  Cy Twombly e conobbe così lo scultore Pietro Consagra, suo compagno, abbandonò la critica per dedicarsi al femminismo attorno agli anni Settanta ma morì nel 1982.
                

Secondo Consagra "vivere con Carla era proprio una grande meraviglia... lei era così lucida, viveva tutte le contraddizioni del suo tempo, ma era anche dolce, allegra, buffona... non si tirava indietro, portava tutto alle estreme conseguenze... ma quando si arrivava ad affrontare l'argomento donna, impazziva di rabbia, di frustrazione, dalla voglia di frenare tutta quella prepotenza maschile che vedeva nella società."

Carla che telefonava alla critica d'arte Lea Vergine e le diceva cose del tipo: "Tu hai il super ego maschile, vergognati!!"
                       

"Certo ora come ora, tutto il peso dell'andar controcorrente, la drammaticità, lo sconquasso della vita personale non si può ripetere. Chi vuole lo legga nei libri - però sappia che c'è stato... " 

giovedì 14 novembre 2013

20134Lambrate_ Isabella Rossellini


Nata e cresciuta a Roma e Parigi, all'età di 14 anni fu sottoposta a un delicato intervento chirurgico per la correzione di una scoliosi e fu costretta a portare il busto per un anno dopo l'operazione. A 19 anni si trasferì a New York, dove cominciò a lavorare come traduttrice e giornalista per la RAI. Esordisce sul video come "corrispondente da New York" nel programma di Renzo Arbore L'altra domenica.
                    

Sposa nel 1979 il prof. Mario Albano, con cui ha vissuto tre mesi, prima di conoscere e sposarsi con Martin Scorsese (1979-1982) con il quale si stabilì definitivamente a New York. In seguito, sposò Jon Wiedemann (1983-1986), un modello tedesco (ora manager di Microsoft) e diede alla luce la figlia Elettra. Ha avuto brevi relazioni con David LynchGary OldmanChristian De Sica e Gregory Mosher.
               

Cominciò la carriera di modella a 28 anni, grazie alle fotografie di Bruce Weber per l'edizione inglese di Vogue e di Bill King per l'edizione americana. Nel corso della sua carriera ha collaborato con molti famosi fotografi, tra cui Richard AvedonSteven MeiselHelmut NewtonPeter LindberghNorman ParkinsonHerb RittsFrancesco ScavulloAnnie Leibovitz e Robert Mapplethorpe. La sua immagine è apparsa sulle copertine di giornali come Marie ClaireHarper's BazaarVanity Fair ed ELLE. Inoltre nel marzo 1988 le è stata dedicata una mostra fotografica, chiamata Ritratto di donna, presso il Museo d'arte moderna di Parigi.
                      

La sua carriera di modella la fece avvicinare al mondo dei cosmetici e nel 1982 divenne la testimonial esclusiva della casa di bellezza internazionaleLancôme, rimpiazzando Nancy Duteil negli Stati Uniti e Carol Alt in Europa. Fu così che nel 1990 prese parte allo sviluppo del nuovo profumo di Lancôme, Trésor. In seguito, nel 1995, collaborò con il Coty Group e lanciò una sua linea personale di cosmetici, Manifesto di Isabella Rossellini.

Rossellini esordì nel cinema accanto a sua madre nel 1976, con una breve apparizione nelle vesti di una suora in Nina di Vincente Minnelli, ma il suo debutto vero e proprio risale al 1979 con Il prato

Nel 1985 recitò nel suo primo film americano, Il sole a mezzanotte, ma probabilmente è divenuta famosa per il personaggio di Dorothy Vallens, la cantante di nightclub nel film di David Lynch Velluto blu. Altri ruoli importanti sono quelli che ha vestito nei film CuginiLa morte ti fa bella e Fearless - Senza paura

Notevole l'interpretazione della dea Atena nel film The Odyssey (1997).
(da Wikipedia)

giovedì 24 ottobre 2013

20134Lambrate_ The mythical life of Anna Pavlova


Venerata dalle elité, apparteneva però alle masse.
Anna Pavlova, immagine sempiterna della ballerina, gemma del Teatro Mariinskij, a San Pietroburgo aveva ai suoi piedi l'aristocrazia. Fu la prima ballerina russa a calcare le scene europee, accolta ovunque come una dea.
                           

Da Parigi dove danzò accolta trionfalmente scelse di trasferirsi a Londra più cosmopolita. Imperatrice dei teatri del West End, visse a Hampstead Heart, facendo di Ivy House, occultata da muri d'edera, la sua residenza d'elezione, l'approdo tra una tournée e l'altra. Nel parco digradante fino al laghetto dove nuotavano i cigni tra cui il prediletto Jack, accanto a fenicotteri e uccelli esotici portati dai suoi viaggi, Anna svolazzava tra lo stagno di ninfee.
Le cronache la immortalano a Ivy House affascinante ospite dei più deliziosi garden parties mai tenutisi a Londra. 
Ebbe tanti amici illustri, tra cui Jakovlev, Fokine e Charlie Chaplin. Con lui una grande amicizia spensierata; li ricordavano ridere a tavola imitandosi a vicenda: lui il cigno morente e lei la camminata di Charlot.

La vita austera da vestale della danza non le impediva di curare la sua immagine di creatura di stile immortalata da Vogue. 
Testimonial di scarpe, creme, si aggirava come fosse in scena. 
                
I ballerini la ricordavano sempre impeccabile, anche quando rientrava da treni e piroscafi dopo una notte in cabina per offrirsi ai fotografi. 
Se non trascurava mai l'aspetto pratico del suo abbigliamento, indossava tutto con estrema eleganza e naturalezza: dagli abiti della Belle Epoque alle silhouette décontracté degli anni Venti, dalle tuniche di Fortuny ai composé maschili a la Coco Chanel. Merito della sua figura sottile e flessuosa che aveva spazzato via i canoni della ballerina carnosa e di quel viso aristocratico venuto da chissà dove viste le sue origini proletarie.
                 



Appassionata di pellicce, di cincillà e di zibellini; divertita da cappelli con piume di struzzo con la mania per le scarpe. 
Le sue preferite erano un paio di Mary Jane rosse con tacco a rocchetto morbide e flessibili che si era fatta fare in serie. 
Ma era il tutu il suo assolo-emblema. 
"La morte del cigno" il suo vero capo feticcio: disegnato da Bakst con le ali dell'animale sulla gonna e una pietra rossa come una ferita sul petto, la ballerina non lo indossava mai più di due volte prima che fosse rinnovato. 
La accompagnava ovunque: "Portatemi il mio tutù" chiese prima di spirare, a poche ore dallo spettacolo.
Tratto da un pezzo di Valentina Bonelli

giovedì 10 ottobre 2013

20134Lambrate_Janet Gaynor

           

Janet Gaynor, pseudonimo di Laura Augusta Gainor (Filadelfia6 ottobre 1906 – Palm Springs14 settembre 1984), è stata un'attrice statunitense.
                       


   

Nel 1926 vinse l'edizione di quell'anno del premio WAMPAS Baby Stars, un'iniziativa pubblicitaria promossa negli Stati Uniti dalla Western Association of Motion Picture Advertisers, che premiava ogni anno tredici ragazze giudicate pronte ad iniziare una brillante carriera nel cinema.
                            

È stata la prima attrice a vincere il premio Oscar nel 1929 grazie alle sue interpretazioni in Settimo cieloL'angelo della strada e Aurora.
                     
    
Negli anni trenta Walt Disney si ispirò al suo volto per la figura di Biancaneve
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