lunedì 23 gennaio 2012

Venivamo tutte per mare


Quella che segue è la recensione firmata da Tiziano Gianotti. Già la copertina mi ha aveva colpita. Il giornalista mi ha convinta!
"Un dramma della invisibilità, il romanzo delle "spose in fotografia", le giovani donne giapponesi arrivate in America all'inizio del Novecento per fare da mogli agli immigrati del Sol Levante, dove la voce narrante è un "noi" che ha la forza del coro, ogni singola storia volta a un destino plurale che è oblio, il silenzio degli invisibili. Una scelta narrativa perfetta e una tenuta di tono ammirevole, per un romanzo che apre l'anno di lettura al meglio. "Sulla nave ci chiedevamo spesso: ci piaceranno? Li ameremo? Li riconosceremo dalle foto, quando li vedremo per la prima volta sul molo?": sono le parole di una interrogazione che è di tutte loro, le ragazzine in fiore e le giovani navigate, che vengono dalla montagna, dal mare, dalla campagna, sempre e comunque dal sacrificio di sé, e sperano. Quelle fotografie che confrontano tra loro e ritraggono giovanotti abbigliati all'occidentale e dallo sguardo fiero sono le immagini di quella speranza, compagna di sogni e incubi dove ritornano le risaie. "Alcune di noi", viene detto e ripetuto a inizio di frasi che segnano differenze che avranno poco o punto corso, una volta sbarcate a San Francisco. 
                              
Ciascuna di loro ha un baule, il cui contenuto è già romanzo: kimono di varie stoffe e colori diversi per ogni occasione ed età, tra cui quello di seta bianca per la prima notte di nozze, pennelli da calligrafia e barrette di inchiostro nero, fogli di carta di riso e minuscoli Budda di ottone, statuette d'avorio del dio volpe e pietre nere del fiume, e altra bellezza: una wunderkammer portatile, come lo sono le illusioni. Non li riconosceranno, i loro mariti, le foto erano di vent'anni prima e le lettere le hanno fatte scrivere da professionisti della bella calligrafia per attirarle lì. Menzogna, quindi, da affrontare con una grazia che Julie Otsuka fissa per sempre: "Avrebbero abbassato la testa, si sarebbero lisciate la gonna del kimono e sarebbero scese dalla passerella per uscire nel giorno ancora tiepido". La prima notte di nozze non sarà che un crudele viatico alla vita americana dei giapponesi, il primo di una serie di capitoli dove il coro restituisce col "noi" storie di desolazione e fierezza, strazio e orgoglio, che il silenzio della modestia rende enigmatici, fino all'ultimo capitolo, "La scomparsa", dove entra una voce americana in cui riconosciamo lo sconcerto e la sorpresa per il loro destino, un perfetto finale in sordina che è la rappresentazione della frase chiave del romanzo: "Questa è l'America, ci saremmo dette, non c'è niente di cui preoccuparsi. E ci saremmo sbagliate". Memorabile

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