mercoledì 13 giugno 2012

20134Lambrate_Coco avant Chanel


Ieri sera mi son imbattuta in questo bel film che desideravo vedere da tempo... Quella che vi presento è una recensione di Marzia Gandolfi che mi è piaciuta molto e che mi permetto di riportare:
"Gabrielle è una giovane donna abbandonata dal padre e cresciuta in un orfanotrofio, dove ha imparato l'arte del cucire. Di giorno è impiegata come sartina in un negozio di stoffe troppo lontano da Parigi e di notte canta canzonette stonate per soldati ebbri di donne e di vino. L'incontro con Étienne Balsan, nobile e villano col vizio dei cavalli, introduce Coco in un mondo di pizzi, ozi e carezze. Insofferente alla vita edonistica e determinata a conquistare il suo posto nel mondo, troverà ispirazione nell'amore per Boy Capel, un gentiluomo inglese che corrisponde il suo sentimento, intuisce la sua grazia naturale e asseconda le sue inclinazioni. Le sue mani, guidate dal cuore, confezioneranno cappelli per pensare e abiti per emancipare (rigorosamente in jersey).
                                   
Anne Fontaine, autrice lussemburghese ed ex ballerina, gira un film intelligentemente strabico, che finge di guardare al melodramma e al biopic, dirigendosi invece altrove. Collocando Coco avant Chanel con precisione storica, l'autrice punta a svelare le dinamiche complesse e cannibaliche che presiedono alla relazione fra l'universo nobiliare, quello borghese e quello proletario nella Francia del Primo Novecento. I tre mondi trovano una perfetta ed esatta dislocazione nei teatri e nelle tribune degli ippodromi, lungo i corridoi e le scale della villa Balsan in cui si svolge la storia e la vita di Gabrielle, in arte Coco. Dialoghi e azioni contribuiscono a definire un confine esistente fra i piani: il brulicare frenetico di chi sta sotto a servire, la noia abulica che divora le relazioni degli inquilini del piano nobile servito. Tutto nel film funziona per nette opposizioni economiche, somatiche, cromatiche (gli abiti minimalisti e desaturati della protagonista contro quelli appariscenti e vivaci di Émilienne), a sottolineare e forzare la differenza tra l'orfana Coco e i figli “legittimi” della società altolocata. Ad abbattere l'agonia di una sovranità arcaica che gioca ancora a nascondino, sospesa e “in maschera” alle soglie della modernità, provvede una donna dotata di intelligenza e cultura, che punta sul fashion design fino ad innalzarlo a strumento di potere e di emancipazione, colpendo con eleganza e sobrietà l'ordine sociopolitico maschile. 
                                 
Audrey Tautou crea una sintesi armoniosa col suo personaggio, un mondo di invenzione ed eccentricità capace di sopravvivere ai ruoli tradizionali di amante. Come Amélie, la sua Coco è assolutamente charmant, non fa nulla di prevedibile per sedurre, a parte moderare il fascino spettacolare del suo mettersi in scena. Figlia di un padre che le ha avvelenato l'infanzia dimenticandola, Coco riempie con la sua fantasia e coi suoi cappellini i vuoti, trasformando il suo destino con la testardaggine di chi vuole un posto “a tavola” senza rinunciare alla sua visione e ai tratti fondamentali della sua personalità. 
                                     
Coco Chanel, secondo Anne Fontaine, è una reazione creativa e attiva a una vita che poteva essere triste e ingrata, alle ipocrisie e alle ritualità della casta nobile, ai momenti codificati dell'etichetta e alle strutture del potere maschile. Dentro i suoi abiti i due livelli della società abbandonano la loro impermeabilità, lasciando scivolare sulla rivoluzionaria stoffa a maglia rasata elementi di continuità, come il contatto sessuale e quello sentimentale. Coco “spogliò” la donna dai condizionamenti culturali, che la immobilizzavano in una recita frivola, invitandola a dire (anche) attraverso ciò che indossa. I vestiti lasciano il posto ad altri vestiti ma il tailleur Chanel (ri)fà la donna."
Marzia Gandolfi

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